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domenica 19 aprile 2009

Parliamo di Cuori Neri

Con l'intervista a Luca Telese, autore del libro Cuori Neri, 19marzo inizia una serie di interviste (stando alla disponibilità degli intervistati) a coloro i quali hanno scritto sulla destra radicale e sul neofascismo in questi anni, ascoltando da loro la risposta alla domanda principale: perchè se ne parla, e scrive, tanto in questo momento? La parola a Luca Telese:

La destra radicale – sia quella contemporanea che quella degli anni settanta – non era stata ancora indagata abbastanza. Su questa oggettiva carenza si è creata una piccola moda. Che ha prodotto qualche porcata esclusivamente commerciale, ma anche testi importanti. Storia Nera di Andrea Colombo, per esempio, è uno scavo molto interessante sulla strage di Bologna e i Nar, qualsiasi cosa si pensi. Il libro di Semprini (Destra estrema e criminale) è una galleria di “mostri” molto godibile; il Sangue e la celtica di Rao, è un libro che è stato totalmente sottovalutato perché era scomodo per tutti – destra e sinistra – e invece ha aperto squarci importantissimi sulla storia delle stragi. Per la prima volta, con Rao, un giornalista che viene da destra, ha raccontato la destra, con grande oggettività.


Alcuni parlano dell’attualità, altri invece ripercorrono la storia del neofascismo. Perchè proprio ora molti autori sentono l’esigenza di ripercorrere gli “anni di piombo” visti da destra?
Semplice: perché per anni questa prospettiva mancava del tutto. Il primo vero libro che racconta la destra vista da destra, "A mano armata" di Bianconi, è rimasto per anni un caso isolato.


Lei ha scritto “Cuori Neri” perchè crede che quelle “21 storie vadano sottratte alla memoria di parte (legittima) di una sola comunità, per essere restituite alla memoria condivisa (e necessaria) di un intero Paese”. E’ possibile riuscirci?
Sono passati tre anni dall’uscita del libro. Tra sei edizioni Trade e una tascabile, Cuori ha venduto 48 mila copie. Ne ho discusso in tutta Italia con persone di ogni colore, idea, appartenenza politica e culturale. Ho fatto più di cento incontri pubblici. Due volte sono stato contestato in piazza, molte altre volte applaudito. Non avrei mai pensato di ottenere un risultato così importante, è un esperienza che mi ha cambiato. Ci sono libri con cui cresci, e libri che ti fanno crescere.


Più in generale. la collana da lei diretta (“Le radici del presente”) si propone di accendere una piccola candela sul nostro passato prossimo. Perchè la luce è stata così a lungo spenta?
Perché raccontare gli anni di piombo e spiegare quello che è accaduto non conviene a nessuno. Non porta voti, non porta consenso, non è un’operazione spendibile politicamente. Gli anni di piombo sono complessi, e la rappresentazione caricaturale che ne è stata data, uno scontro tra tifoserie, è quella che conviene di più ai suoi ex protagonisti ancora in servizio attivo. L'unica alternativa utile, per loro, è l’oblio. Non è un caso, che io abbia scritto cuori neri a 36 anni, e che molti altri autori che stanno scavando, fossero ragazzi o bambini quando si sparava nelle strade. Siamo gli unici che non hanno conti da pagare o scheletri nell’armadio.


In Italia manca una memoria condivisa. Dove abbiamo sbagliato?
Io credo, dopo questo viaggio in immersione nel dolore, nei sogni, nella memoria e nelle passioni di quel tempo, che la memoria condivisa non si possa ricostruire, in un paese che è sostanzialmente cresciuto sulle guerre civili, dai guelfi e i ghibellini, al 1945, agli anni settanta fino ad oggi. Possiamo ricostruire una storia comune. Ovvero: sapere tutti noi, che cosa è accaduto a tutti gli altri. Possiamo superare le lenti da presbite della faziosità, e farci carico delle storie altrui. Per questo, nel mio piccolo, avendo una storia di sinistra mi sono fatto carico della cultura politica che era più lontana da me. E’ l’unico modo per rompere il circolo del vittimismo autocelebrativo che ha bollito il cervello dei dirigenti politici in questi anni.


Cosa fare per recuperare? Bastano i libri?
No, i libri possono molto, costiuscono la precondizione: ma serve una presa di coscienza civile. E poi serve una sistemazione politico-giudiziaria degli anni di piombo che la politica continua a non avere il coraggio di fare, perché ha paura di perdere consensi.


Due domande sul neofascismo. Le organizzazioni della destra radicale godono di ottima salute: aumentano i consensi e conquistano spazi che fino ad ora erano stati inaccessibili, come i licei. Secondo lei, da dove deriva questo consenso?
La destra radicale, che è molto variegata, al suo interno - perché già fra Casapound e Forza Nuova esistono distanze abissali – si è infilata nel vuoto di passioni lasciato dalla crisi della sinistra istituzionale. Un tempo a sinistra ci si chiedeva perché i giovani erano neofascisti. Adesso, devo dire, che stupisce molto di più che un giovane ragionevolmente pieno di speranze e di passioni si vada a infilare in un apparato di partito dominato da vecchi marpioni. Si poteva prendere la tessera per Berlinguer, o per il comunismo, o persino per la storia dei Ds; diventa molto improbabile che un giovane possa pensare di diventare militante per le trippe di Bettini o per l’ipersalivazione postdemocristiana di D’Antoni.


La nascita del Pdl libera degli spazi politici alle organizzazioni alla destra del nuovo partito?
Penso proprio di sì, soprattutto a livello giovanile. Adesso si chiude il cerchio e a destra e a sinistra, si sono costruiti di partiti di plastica, con poca democrazia interna, con un vertice istituzionale e blindato, e con pochissimi varchi per chi vuole mettere in campo solo il suo contributo di passione e non anela a nessuna poltrona. I giovani, nel tempo del cosiddetto bipartitismo, servono solo per il galoppinaggio elettorale. Non c’è molto spazio per la loro radicalità. Il che mi fa pensare che se ne andranno altrove, magari a realizzare un sogno minimale. E che – se la dittatura gerontocratica che governa l’Italia andrà in tilt – saranno quelli che metteranno in crisi questo sistema costruito in provetta.

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