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lunedì 30 novembre 2009

Il Paese è perfetto. Per questo si parla d'altro.

Diciamo che possiamo permettercelo. Siamo un Paese che non soffre una crisi economica come il resto del mondo, non abbiamo problemi di legalità nelle istituzioni e nella società. I provini del Grande Fratello raccontano di decine e decine di giovani con un alto grado scolarizzazione e in grado di rispondere a difficilissime domande di cultura generale. Il Pil cresce, la criminalità non esiste, le istituzioni rappresentano fedelmente l'immagine di un Paese che funziona. Insomma citando un personaggio comico interpretato da Antonio Albanese, "va tutto bene".

Allora possiamo permetterci di affrontare temi di importanza secondaria che, nella situazione ottimale in cui viviamo, diventano primari. E' un pò come se invece dell'organizzazione e amministrazione di una nazione stessimo parlando di una trasmissione televisiva. Dopo l'organizzazione, la preparazione, le prove della messa in onda e la verifica che tutto funziona, ci si dedica all'ottimizzazione. E noi italiani ci dedichiamo quotidianamente all'ottimizzazione.

Settimane e settimane, se non mesi, a parlare di ronde. A parlare di vagoni della metro da destinare esclusivamente ai nativi di Milano. A parlare di crocefissi nella scuola. A parlare di come tagliare la coda al cane. Se accettare o meno in concorso a Sanremo le canzoni in dialetto.
Ci aspettano vibranti settimane di discussioni sul tema. Prese di posizioni autorevoli, seguitissimi dibattiti chiarificatori, trasmissioni televisive con ospiti preparatissimi di storia eraldica.

Per fortuna gli italiani pensano ad altro. "Le sorprese del Paese reale", è un titolo di un editoriale di Ernesto Galli della Loggia in cui scrive: "La verità di Paese politicamente nevrotizzato, dove la politica è sempre più spesso impegnata a discutere con ferocia sul nulla, un Paese che il discorso pubblico dipinge troppo spesso quale esso in realtà è ben lungi dall' essere".

Per quanto mi riguarda "Sono fin troppo consapevole del fatto che si vive in un'epoca in cui solo gli ottusi sono presi sul serio e io vivo nel terrore di non essere frainteso".
La citazione è di Oscar Wilde.


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mercoledì 11 novembre 2009

L'economia tra un gelato e una partita ai videogiochi

In un bar del posto dove mi trovo è spuntanto un flipper. 50 centesimi e ho fatto una partita. Il mio non è stato un gesto nostalgico dei mitici Anni '80 e di Fonzie. Essendo nato nel 1985 ho vissuto quel decennio solo per metà. E non posso averne nostalgia. Anche perchè già agli inizi degli Anni '90 le sale giochi erano pieni di videogames più avanzati e il declino del flipper cominciava a vedersi. Si giocava a Street Fighters, Ghouls and Ghosts, Pang, Super Mario Land in grossi parallelepipedi con un grande schermo che mandava colori pochi definiti e figure semplici e poco elaborate. Si muovevano i persoanaggi attraverso la manovella del joystic, sottile e nera, e si facevano muovere con tasti colorati. Non sono un matusalemme, ma quando avevo sui sette anni la Play Station era ancora lontana a venire. Circolavano i primi Game Boy, ma erano un lusso per pochi. E io sono cresciuto in questo mondo.

Un mondo semplice, di giochi e videogiochi che mi hanno fatto pensare all'inflanzione. Spiego.

Ricordo che una partita costava 200 lire. Quando si andava al bancone a cambiare mille lire si ricevevano cinque monete color giallo oro. Una quantità che quasi non entrava nella mani dei piccoli avventori a cui sembrava di avere un piccolo tesoro. Se si voleva fare una partita oltre il numero massimo consentito dai genitori bastava risparmiare un pò sul gelato e si tirava fuori la partita in più. Spesso per il gelato si ricevevano mille lire. Tra il 1988 e il 1990 sui cartelloni dei gelati fuori dai bar c'era ancora la scritta Eldorado (presto scoparirà perchè la Algida la incomporerà) e le novità erano il Blob, il Twister e il Calippo Fizz, quello che pizzicava. Costavano rispettivamente 700, 800 e 600 (?) lire. Risparmiare era facile e la partita costava poco.



Poi i costruttori di videogiochi hanno inventato una stratagemma: 500 lire per 2 partite. Si giocava la prima partita e se si perdeva ce n'era subito un'altra. Ora con mille lire si ricevevano in cambio solo due monete. Che nel videogioco rimanesse "in sospeso" un credito, inoltre, era fonte di problemi. Se fossi un cinquantenne che rimpiange la propria giovinezza questo sarebbe il momento per uscirsene con la frase "eh, non ci sono più i videogiochi di una volta!". Ma una riflessione mi viene. Il concetto dell'intrattimento di quegli anni e quello di oggi rimane lo stesso. A quei tempi però si doveva uscire di casa per giocare e non chiudercisi dentro, bisognava aspettare il proprio turno e non si aveva il monopolio del gioco. Si imparava a conoscere la vita stando in mezzo agli altri. Il credito "in sospeso", dicevo. Se si spingeva un bottone nella parte centrale del videogioco, un altro giocatore poteva entrare e usufruire del credito. Il gesto poteva essere concordato, ma spesso succedeva che qualcuno "rubasse" la partita scusandosi poi dicendo che aveva intruppato il bottone e non l'aveva fatto apposta.

Fare parite di "straforo" inoltre era diventato più difficile. Il budget era sempre mille lire, ma i prezzi dei gelati non erano rimasti fermi. Nel 1996 la novità era il Solero: prezzo 1.500 lire. L'unico modo per risparmiare era quello di comprare il Freddolone, il classico ghiacciolo, che costava 500 lire. E con il resto si giocava. La partita costava ancora 500 lire, ma non era solo una e non più due.

Nel 2002 è arrivato l'euro e nel 2003 la serie dei 7 peccati capitali della Magnum, i gelati a tiratura limitata. I videogiochi erano diventati più complessi. Al posto del joystic c'erano pistole, fucili, volanti. La grafica è molto più accattivante e i nuovi strumenti rendono il gioco più realistico. Ora una partita costa un euro. Rispetto alle 200 lire significa un aumento del 400%. Anche i gelati Algida, mediamente, costano più di un euro.

Cosa ci racconta questa storia, iniziata da una partita a flipper?
Anni fa i nostri genitori ci davano mille lire per i nostri svaghi. Una cifra più che sufficiente. In più, se si voleva fare qualche partita di straforo c'era la possibilità di risparmiare su altri beni di consumo per bambini e la partita saltava fuori. Anni dopo la cifra che ci veniva consegnata per giocare era sempre la stessa, ma il suo valore dimezzato. E la possibilità di risparmiare si era ridotta al lumicino. Oggi, a distanza di poco più di 10 anni, abbiamo sempre bisogno di genitori che ci passano i soldi e, allo stesso tempo, la capacità della famiglia di finanziarci è notevolmente calata. E il prezzo dei videogiochi, al contrario, aumentata. Così, ci indebitiamo per continuare a fare quello che facavamo anni fa.

Ora sostituite ai videogiochi e a ai gelati altri beni di consumo. Trovate differenze?
E io faccio un'altra partita a flipper a 50 centesimi. E' pure conveniente.

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giovedì 5 novembre 2009

Fede tradizionale

"Fintanto che rimarro' sindaco di Trieste nessun crocefisso verrà rimosso da alcuna scuola comunale”, ha detto il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza. "Comunque vadano i ricorsi annunciati dal Governo contro Strasburgo - ha continuato Dipiazza - manterrò attuata questa decisione perche' si tratta di un'imposizione che si scontra
contro i valori e le tradizioni che appartengono alla storia millenaria del nostro Paese”.

"Se vogliono togliere i crocifissi dalle nostre scuole, vuol dire che li metteremo nelle nostre aziende. Ecco perchè chiedo ai nostri commercianti cattolici di esporre questo simbolo, per ribadire ancora una volta le nostre radici culturali e religiose che affondano nel cristianesimo e nel cattolicesimo. Strasburgo ha colpevolmente dimenticato che i simboli religiosi fanno parte integrante della nostra cultura e delle nostra storia e per questo non siamo disposti per alcun motivo a rinnegarli". E'il pensiero del presidente della Confcommercio di Roma, Cesare Pambianchi.

Il sindaco di Sassuolo, Luca Caselli, ha invece comprato 50 nuovi crocifissi da distribuire alle scuole sprovviste. " ''E' una sentenza assurda, una vera e propria
idiozia - spiega Caselli - che non solo e' contraria alla tradizione religiosa e culturale europea, ma che reputiamo anche pericolosa", ha detto Caselli.

Un invito ai dirigenti scolastici prechè verifichino la presenza del cricifisso nelle scuole ed eventualmente a metterlo lo fa il sindaco di Sanremo, Maurizio Zoccarato. "Il crocifisso rappresenta il simbolo della tradizione delle nostre radici cristiane" - ha scritto Zoccarato -. Lo stesso assume un valore simbolico di identita' culturale e sociale, oltre a rappresentare la tradizione cattolica".

Sintetizza per tutti il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini: "La presenza del crocefisso nelle aule scolastiche non corrisponde solo a un simbolo religioso, ma e' un simbolo che unisce i valori, le tradizioni, le radici del nostro Paese".

Sono alcuni dei commenti alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomosulla presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche giudicata "una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni".

Si può essere d'accordo o in disaccordo con la sentenza. Il crocefisso nelle aule scolastiche può urtare o non urtare la sensibilità di alcuni.

Quello che 19marzo09 nota, però, è come in tutti i commenti venga evocata la "tradizione".

Sul vocabolario online della Treccani, alla voce "tradizione", si legge: "Trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze; di consuetudini, usi e costumi, modelli e norme"

Alla voce "fede" invece, è scritto: "Credenza piena e fiduciosa che procede da intima convinzione o si fonda sull’autorità altrui più che su prove positive; il complesso delle proprie credenze, dei principi fermamente seguiti".


La fede trasformata in usanza. E' questo quello che sostengono gli "scandalizzati" della sentenza.
Da laico e da non credente ritengo la fede troppo importante per essere ridotta a "tradizione". E credo che questo sia l'ultimo argomento a cui affidarsi per sostenere la propria posizione. Evidentemente ne mancano di altri migliori.










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