Su 19 marzo trovi

Pensieri e idee. Articoli di giornale e commenti. Vignette e foto dal mondo. Giornalismo e storie da raccontare. Prodotti trovati su internet e quelli fatti da me all'interno della scuola per la formazione al giornalismo.
Libri letti e da leggere.
Buoni propositi e cattive azioni.

venerdì 19 marzo 2010

C'è una candelina da spegnare...


"Salute Fra, oggi il tuo blog compie un anno". E i due bicchieri di plastica sbattono tra di loro con due mani in mezzo. Dicono che fare il cin cin con i bicchieri di plastica porti sfortuna per questo si fanno sbattere tra di loro le dita e non i bicchieri.

Era mezzanotte e venti quando una mia amica mi ha ricordato l'anniversario. A dir la verità anche io ci pensavo da un pò perchè ultimamente le molte cose che ho da fare mi hanno impedito di aggiornare 19marzo09.

Ora questa prima candelina del blog mi dà l'opportunità di aggiornarlo, ma di fare anche una cosa ancora più importante. Molto più importante.

Ringraziare tutte le persone che leggono questo piccolo spazio nell'immenso spazio che è il web; che hanno lasciato i loro commenti scrivendoli nell'apposita sezione, o lo hanno fatto su Facebook o hanno usato quel vecchio e tradizionale strumento che è la voce.

Ringrazio chi mi ha dato consigli sui contenuti e chi sulla forma (cambia il template...) e anche a chi mi dice che scrivo una marea di cazzate.

A un anno di distanza, dopo più di 4.000 visite e circa 100 aggiornamenti, mi ritrovo allo stesso pc da dove ho creato questo spazio e scritto il primo post. Ho davanti agli occhi la stessa parete di 365 giorni fa, forse solo con più foto.

Oggi è sempre l'anniversario dell'istituzione del Parlamento Europeo e della morte del giuslavorista Marco Biagi, ucciso dalle Nuove Brigate Rosse. Esattamente come lo erano l'anno scorso.

In realtà, però, non è tutto come allora. La vita passa e non chiede il permesso per lasciare segni sulla propria esistenza.

Eppoi presto non aggiornerò più questo blog dal pc dove sto lavorando e non avrò più davanti agli occhi questa parete.

La mia vita cambierà di 360°. Sono una cosa non cambierà: oggi è e rimarra sempre la festa del papà.

ora aiutatemi a spegnere la candelina.



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giovedì 25 febbraio 2010

Urbino, Urbino




Oggi a Urbino piove. E c'è la nebbia. Non è una novità. Anzi rispetto ai giorni scorsi si può dire che il tempo sia migliorato. E' nevicato spesso questo inverno. La neve è uno dei più bei vestiti che questi posti può indossare finchè si è al chiuso di un'aula o nella casa in cui si vive. Diventa un disagio enorme quando si deve uscire e spostarsi in macchina.

E così qualche giorno fa ero in macchina proprio mentre le strade cominciavano a trasformarsi in campi per il pattinaggio sul ghiaccio. All'andatura di circa 5 km orari ho raggiunto la via dove si trova la casa dove sono in affitto. Per arrivare al cortile interno dove di solito parcheggio c'era da fare una strada non asfaltata, piena di buche e, in quel giorno, anche di neve.

Così ho parcheggiato la macchina poco più giù. C'era uno spiazzo al bordo della strada dove era parcheggiata un'altra macchina. Mentre facevo manovra con la cautela del caso, dalla finestra della casa di fronte una vecchia ha cominciato a urlare. All'inizio, il finestrino chiuso e la canzone dalla radio coprivano le sue parole. Poi le ho sentite. "Parcheggiati meglio..non mettere la macchina così..lì c'è posto per un'altra".

Per chi non è abituato a guidare sulla neve, posso assicurare che è un'esperienza stressante. E una volta raggiunto l'obiettivo, dover mantenere la calma di fronte a una vecchia che pretende che si faccia manovra a 300 km/h (già di per sè complicato) per di più sulla neve, lo stress potrebbe raggiungere livelli di guardia.

Nonostante questo ho finito la manovra (sotto l'attenta sorveglianza della vecchia che mi controllava dalla finestra) e mi sono incamminato verso casa. Mi sono accorto solo a quel punto che c'era un altro vecchio che mi controllava da dietro la porta di casa aperta di poco. Mi ha guardato, e una volta arrivato all'altezza della porta, l'ha prontamente chiusa.

Perchè racconto questa storia? Perchè questa è Urbino. Una cittadina che dovrebbe essere abituata allo sconosciuto (come racconto nel primo capitolo di questa storia, qui gli studenti sono 15.000 esattamente come gli abitanti), controlla l'uscio di casa come si controlla un confine in tempo di guerra. Qui dove dovrebbe sorgere un "campus universitario", si "squadra" il passante come forse avviene ormai solo nei paesini di Sicilia e Calabria. Qui dove sorge una delle più antiche università italiane, si pensa che il parcheggio di fronte casa sia di proprietà privata senza averne nessun diritto, si pensa sia un limite invalicabile per chiunque.

Qui lo studente, una delle poche fonti di reddito degli abitanti e sicuramente una delle più redditizie grazie soprattutto agli affitti, è visto, "squadrato", controllato come il peggiore dei criminali.

Stiano tranquilli, gli urbinati. Noi siamo di passaggio. Presto li lasceremo soli, come forse meritano di stare.

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lunedì 22 febbraio 2010

Urbino, Italia

Sono ormai 2 anni che mi trovo ad Urbino per motivi di studio.

La città ducale, così si chiama quando si vogliono trovare sinonimi per non ripetere Urbino, è tra le più ricche di storia d'Italia. Ad osservarla bene sembra una piccola Italia in miniatura.

Ricca di storia, appunto, richissima di arte e cultura. Il Ducato del Montefeltro è stato tra i principali dell'Italia del '500. Il duca Federico da Montefeltro è stato un "capo di Stato" tra i più lungimiranti. Di qui sono passati pittori come Piero della Francesca, Timoteo Viti e Giovanni Santi, papà dell'urbinate più famoso al mondo, Raffaello Sanzio. Nel palazzo ducale, uno degli esempi più riusciti dell'architettura rinascimentale italiana, è conservato il famossissimo dipinto de "La città ideale".

La città ospita dal 1506 l'Università, una delle più antiche al mondo. Da qui sono partite personalità come Carlo Bo, che è stato anche ministro dell'Istruzione. Di qui è passato uno degli architetti italiani più illustri che ha disegnato molte sedi universitarie: Giancarlo De Carlo.

Il cibo del Montefeltro ha delle eccellenze riconosciute in tutto il mondo. Prodotti tipici, di denominazione protetta e controllata sono il vanto di abitanti e ristoratori.

E dal 1998 Urbino è patrimonio dell'Unesco.

Una piccola Italia in miniatura, dicevo. Arte, cultura, storia, conoscenza, ottima cucina sono valori che, allargando l'obiettivo, si possono trovare in tutta la penisola.

Ma quale futuro ha Urbino?

Qui gli studenti, che sono 15.000 esattamente come gli abitanti, sono trattati da "ospiti", nella peggior accezione che il termine può avere. Gli vengono proposti alloggi in affitto a dir poco fatiscenti, tuguri fatti passare per suite.

La maggiore risorsa economica viene vista più come un fastidio che come una richezza. Il divertimento notturno che inevitabilmente gli studenti si portano dietro ovunque vadano, per la popolazione è una seccatura che si fa via via più insopportabile.

I pochi vecchi che abitano in città vedono gli studenti attraverso la lente dell'indiferenza, quando va bene, della vera e propria seccatura nella maggior parte dei casi. Gli studenti che dovrebbero far parte dellì'arredo urbano, linfa vitale tra i vecchi vicoli sono visti come stranieri, diversi, estranei.

"Il Ducato", il giornale della mia scuola, ha documentato nel numero di febbraio che i ragazzi urbinati che frequentano l'ultimo anno di liceo vogliono andarsene da qui.

La prospettiva degli urbinati è quella di spremere la loro risorsa per ottenerne la massima "produttività" nell'immediato. Nessuna progettualità nè pianificazione. E non bisogna essere economisti per capire che così la prospettiva per la città si riduce drasticamente.

Inoltre, qui la grandezza del passato cozza in modo evidente con la pochezza del presente. Parlando con gli abitanti, con il rettore e con i docenti universitari tutti si vantano della loro storia. E fanno bene. Ma così facendo non fanno altro che evidenziare la loro pochezza del presente.

Proprio come l'Italia.


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lunedì 8 febbraio 2010

L'ultima speranza della sinistra che spera


Prendo spunto dal commento di Marco all'ultimo post: "la mia speranza è nel Vendola Wind anche se è una sogno. Spero utile e soprattutto realizzabile..."

Le poche righe di Marco raccontano di uno stato d'animo nel popolo della sinistra italiana che ciclicamente ritorna. Spesso si guarda loro come sfigati, rassegnati, tristi. E spesso è vero. Ma una cosa non si può contestare loro: la mancanza di speranza.

Ad ogni caduta, ad ogni tornata elettorale andata male, ad ogni segretario eletto dopo le dimissioni del predecessore, ad ogni sondaggio reso pubblico con i consensi per il Cavaliere alle stelle. Loro sono li e sperano. Sperano che dopo la caduta ci si rialzerà, che le prossime elezioni andranno meglio, che il nuovo segretario sarà meglio del vecchio, che presto tutti capiranno che il Cavaliere è un furfante e i suoi consensi svaniranno.

Ogni volta la speranza si incarna in un leader nuovo. Ora, come dice Marco, è la volta di Vendola.

Ho provato a ripassare mentalente tutti coloro che hanno rappresentato fisicamente, o in modo figurato, la speranza del popolo di sinistra.

Fausto Bertinotti, Romano Prodi, il movimentismo no-global, le primarie e il suo popolo, il Pd, Walter Veltroni, Deborah Serracchiani, il "Fatto Quotidiano" e Marco Travaglio, Santoro e Annozero, "la Repubblica".

Su Google cercando "sinistra" e "speranza" si ottengono 1.450.000 risultati. Alcuni non c'entrano nulla, ma molti sono inerenti all'argomento e danno l'ideà di quanto sia vasto l'argomento.

Ora tocca a Vendola. Visto la fine che hanno fatto i predecessori augurargli l'in bocca al lupo è il minimo. Con la convinzione che di speranza non si può vivere, ma nemmeno morire.





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mercoledì 3 febbraio 2010

Il Pd e il vuoto di rappresentanza

I colpi di genio sono tali perchè la loro attualità dura per anni. Ho rivisto e acoltato lo sketch di Corrado Guzzanti centinaia di volte arrivando a recitarlo a memoria. E ogni volta ogni nome scandito mi scatenava una risata come se fosse la prima volta che lo ascoltavo.



Si era alla vigilia delle elezioni politiche del 2001, dopo la caduta del governo Prodi. Non c'era bisogno di consultare sondaggi o politologi esperti per sapere che avrebbe vinto Berlusconi e la coalizione di centro-destra. Il centro-sinistra e l'allora segretario dei Ds, Walter Veltroni, erano alla ricerca più di un agnello sacrificale che un candidato.

A nessuno, soprattutto a un politico, piace andare incontro a una sconfitta sicura. E in quel periodo tutti i maggiori esponenti dei Ds e della loro coalizione sembravano un manipolo di ragazzini in gita che fischietta girando lo sguardo da un'altra parte mentre la professoressa cerca il colpevole di una marachella.

Ma provate a dimenticare il contesto e il periodo di quello sketch e rivedete la sequenza.

Guardatelo con gli occhi di un elettore bolognese del Pd. Ha votato per un sindaco che pochi mesi dopo l'elezione si è dimesso per uno scandalo di spese fuori controllo fatte per compiacere l'amante, gettando il partito locale nel caos alla ricerca di un candidato che non si trova.

Guardatelo con gli occhi di un cittadino laziale del Pd che alle prossime regionali voterà per una candidata che è espressione di un partito diverso dal proprio dopo che l'unico candidato presentabile, Nicola Zingaretti, già presidente della Provincia, ha gentilmente declinato l'invito.

Guardatelo con gli occhi di un pugliese (elettore del Pd o no) che ha scelto, attraverso le primarie, un candidato diverso da quello che voleva imporre il Pd.

Guardatelo con gli occhi di un elettore del Pd che da quando è nato il suo partito, il 14 ottobre 2007, appena 2 anni fa, ha già visto cambiare tre segretari.

I colpi di genio sono tali perchè la loro attualità dura per anni, dicevamo. Quello di Guzzanti lo è stato senz'altro. Rimane da sapere per quanto tempo ancora rimarrà attuale.



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venerdì 15 gennaio 2010

La Rivoluzione la faccia lei...


Il tema è di moda e va cavalcato. Dopo la lettera di Pier Luigi Celli che invita il figlio a lasciare l'Italia perchè è un Paese che non offre più prospettive, ci pensa un altro Pierluigi a ricordarci che questo "Non è un Paese per giovani".

Pierluigi Battista è uno dei più noti giornalisti italiani. E' stato vicedirettore del "Corriere della Sera" ed è tuttora una delle firme più autorevoli del quotidiano. Ha diretto trasmissioni televisive e scritto diversi libri. Insomma, a 56 anni può dirsi soddisfatto della propria carriera.

Questa settimana ha scritto un articolo su 'Fenomeni', la sua rubrica su "Style", un allegato del Corriere. Il titolo (non troppo originale per la verità) è proprio "Non è un Paese per giovani".

Come riporto già in un precedente post, "Stranezze quotidiane", Battista inizia così: "Non riesco a capire perchè i giovani italiani non abbiano ancora fatto la rivoluzione. No quella finta, posticcia che si inscena stancamente anno dopo anno con le okkupazioni e le parodie sempre più logore di un '68 lontanissimo. No, quella vera: quella contro la fortezza gerontocratica e prepotente che noi ormai anziani abbiamo munito di ponti levatoi per chiudere le porte, impedire l'accesso di forze fresche, monopolizzare tutti i posti a disposizione".

E Battista prosegue: "I giovani dovrebbero fare la rivoluzione contro un sistema ingessato, immobile, accondiscendente con le corporazioni potenti e prepotenti, spietato con il nuovo proletariato anagrafico. [...] Dovrebbero fare la rivoluzione anzichè chiedere in modo petulante che gli anziani diano loro spazio cooptandoli con magnanimità nei loro sinedri. Se lo prendano, lo spazio occupato da chi difende con tenacia inamovibilità la posizione conquistata".


Caro Battista, da un professionista stimato e preparato come lei non mi aspettavo un errore simile. Da quando in qua le ultime ruote del carro hanno fatto la rivoluzione? La rivoluzione vera intendo, proprio come scrive lei. Quando le ultime ruote del carro hanno fatto in modo che certi meccanismi cambiassero o che certe logiche venissero sovvertite? Lei è studioso di storia e dovrebbe sapere meglio di me la risposta: : mai!

Può anche darsi che mi sbagli, e in questo caso la prego di correggermi.

Chi potrebbe fare la rivoluzione, sempre quella vera intendiamoci, sono quei giovani che stanno facendo carriera. Che per bravura diventano capo servizio nelle redazioni dei giornali, diventano responsabili di settori specifici di aziende e società, quei ragazzi che magari riescono a ritagliarsi piccoli ruoli in quel sistema baronale che è l'Università. Quei giovani, insomma, che potremmo definire "quadri intermedi" che stanno scardinando "il sistema ingessato e immobile", come lo definisce lei.

Si, sono loro che potrebbero farla. Loro perchè conoscono quant'è difficile e duro fare strada in un Paese che non è fatto per i giovani, loro che avrebbero tra le mani qualche piccolo strumento per scardinare i portoni sbarrati alle giovani generazioni.

Ma sa perchè non lo fanno? Io un'idea ce l'ho. Perchè con un pò di pazienza quel posto a lungo occupato da chi gli è stato davanti verrà lasciato vuoto. Magari non per moti rivoluzionari, ma per motivi biologici. I vecchi, di norma, muoiono prima dei giovani. E allora il posto sarà occupato da ormai ex-giovani che finalmente potranno accedere a quel sistema di tutele e privilegi di cui fino a quel momento non hanno goduto.

Pensi alla sua categoria e alla sua posizione. Ora pensi alla mia categoria (è la stessa sua) e alla mia posizione. Lei fino al 2009 vice-direttore del più importante quotidiano italiano, io giovane praticante già al terzo stage (non retribuito) e, se sarò bravo e fortunato, entrerò in un giro di precariato che ben conosce. Potrei io far la rivoluzione contro di lei? Suvvia, siamo realisti.

Magari potrei farla qualora diventassi capo-servizio, ma a quel punto, chi me lo farebbe fare? Perchè dovrei rinunciare a quel sistema di tutela e privilegi che le generazioni precedenti alla mia hanno costruito anche nella "casta dei giornalisti"? Chi me lo farebbe fare?

Prenda queste mie righe (volevo scrivere poche, ma in realtà sono diventate troppe) come un piccolo gesto rivoluzionario.

Ps: ho mandato queste righe anche a Pierluigi Battista. Se mi risponderà pubblicherò la sua risposta su questo blog.
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Pazza idea..mica tanto!


Su "La Stampa", il segretario di uno dei più importanti circoli del Pd romano, quello a via dei Giubbonari, annuncia le dimissioni dall'incarico perchè non intende sostenere la Bonino alle prossime regionali. "Siamo troppo distanti sui temi etici", dice l'ormai ex segretario proveniente dall'area Margherita.

Su "Il Giornale", il titolo di pagina 8 è: "Il sito più liberale del Pdl scatenato contro la Polverini". Il quotidiano, anch'esso di area Pdl e il cui direttore ha scritto alcuni editoriali contro la candidata alle Regionali nel Lazio, scrive che il sito Tocqueville.it (un aggregatore di blog di centro-destra), non accetta la candidatura. "Che senso ha, per la destra, vincere le elezioni per ritrovarsi con un governatore di sinistra?", si legge. Un altro blogger sempre di centro-destra, Giova, si augura una memorabile sconfitta per la Polverini e giudica la Bonino "il male minore".

Idea. E se nel Lazio centro-destra e centro-sinistra si scambiassero i candidati? Pardon, le candidate?



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giovedì 14 gennaio 2010

Stranezze quotidiane

Oggi ho trovato un pò di notizie e articoli particolarmente stravaganti. Le segnalo.

Noi che tra le propabili 100.000 vittime del terremoto ci chiediamo se forse (e dico forse) c’è un (e dico un) italiano.

Feltri, direttore de “Il Giornale”, nell’editoriale di oggi rivolge una domanda al premier: “Caro Presidente, che bisogno c’era di parlare di tasse da ridimensionare, ingenerando la sensazione che il taglio fosse dietro l’angolo,e, dopo alcuni giorni, correggere il tiro deludendo le aspettative dei cittadini?” Qualcuno avvisi Feltri che siamo in campagna elettorale.

Carra, cattolico del Pd, lascia il partito per andare con l’Udc di Casini che è in trattativa per creare una coalizione con lo stesso Pd. Io sinceramente non ci sto capendo più un cazzo.



Se Marida Lombardo Pijola scrive su un quotidiano nazionale, anche io ho delle speranze.


“Il Comune di Milano, nella persona del sindaco Letizia Moratti, chiede di costituirsi parte civile nel procedimento a carico di un giovane accusato di aver imbrattato con scritte a vernice spray i pilastri di un edificio in piazza San Babila”. Bene. Quando noi cittadini ci costituiremo parte civile in un processo contro i manifesti elettorali sui muri delle nostre città?

"Non riesco a capire perchè i giovani italiani non abbiano ancora fatto la rivoluzione. No quella finta, posticcia che si inscena stancamente anno dopo anno con le okkupazioni e le parodie sempre più logore di un '68 lontanissimo. No, quella vera: quella contro la fortezza gerontocratica e prepotente che noi ormai anziani abbiamo munito di ponti levatoi per chiudere le porte, impedire l'accesso di forze fresche, monopolizzare tutti i posti a disposizione". Lo scrive Pierluigi Battista su Style di oggi in allegato al "Corriere della Sera". Purtroppo alle sue parole non è seguita una bella lettera di dimissioni. Ma Battista, 56 anni, non ha quello che generalmente si definisce spirito di sopravvivenza? Se i giovani la facessero davvero la rivoluzione, sai dove si ritroverebbe?

Queste sono le mie. Aspetto vostre segnalazioni nello spazio dei commenti.


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lunedì 4 gennaio 2010

"Adesso...punto"


L'altro giorno mi è capitato di vedere un pezzo della trasmissione "Grande Fratello". Se ne può pensare quel che si vuole del programma (di chi vi partecipa e di chi lo guarda), ma osservare 20 (o 30) ragazzi e ragazze chiusi un una casa risulta essere lo specchio della società. Cioè di cosa siamo noi.

Seguo il programma quando capita, ovvero raramente. Per questo non so ricostruire perfettamente la vicenda da cui prende spunto questo post.

I fatti comunque sono semplici. Si tratta di un ragazzo, George, attratto da una ragazza, Carmela, e che, ricambiato, ha iniziato una relazione-storia-tresca o un qualcosa che si può definire come meglio si crede con lei.

L'altro giorno la mamma del ragazzo gli ha inviato un video-messaggio. La mamma ha ricordato al figlio che fuori dalla casa ha una compagna e addirittura un figlio. Che quello che sta facendo all'interno di quelle mura televisive avranno conseguenze all'esterno, nel mondo reale.

Il figlio ha risposto in maniera semplice e diretta: "Adesso il mio sentimento è questo. Quando sarò fuori da qui dovrò dare le mie spiegazioni, è sottinteso. Penso che adesso per star bene nel Grande Fratello e star bene con me stesso devo seguire il mio sentimento. Punto."



Casualità vuole che questa frase inizi e finisca con le due parole chiave del ragionamento: "adesso" e "punto". Un inizio e una fine definita, chiusa. Come se ciò che vogliamo adesso non abbia conseguenze sul futuro; come se ciò che vogliamo adesso non sia frutto di una costruzione, ma della contingenza, del capitato.

"Adesso" e "punto". E' come se la nostra vita stia diventando una serie di esperienze chiuse da un inizio e da una fine, senza una costruzione, una conseguenzialità, una causa e senza, soprattutto, un effetto.

E così quello che saremo domani non è il risultato dello studio, del lavoro, della costruzione di noi stessi avvenuta nel passato. Ma è solo il frutto di ciò che vogliamo (e a volte pretendiamo) e che generosamente ci viene offerto (molto spesso proprio dai nostri genitori che soddisfano molte delle nostre richieste). Allo stesso modo non ci sentiremo responsabili per quello che abbiamo fatto nel passato. Quello è un altro capitolo. Chiuso. Come se il libro della nostra vita non fosse un unico testo, ma il susseguirsi di tanti capitoli a sè stanti. Quello del capitolo precedente è un "io" diverso e i suoi errori, scelte, sconfitte non ci appartengono.

La generazione che ci ha generato (le nostre mamme appunto, la mamma di George...) è stata abituata a vedere la vita come un processo. E non mi riferisco alla vita sentimentale. Le nostre mamma hanno avuto un uomo e l'hanno sposato. Oggi noi frammentiamo le nostre relazioni sentimentali, ma anche i nostri contratti lavorativi, le nostre condizioni abitative, i nostri risparmi.
I nostri genitori (soprattutto nella sconfinata provincia italiana) hanno costruito la loro, e nostra, casa. E per costruire intendo in senso materiale: mattone su mattone. I nostri genitori hanno costruito i loro risparmi dai quali attingiamo per le nostre serate con gli amici. Risparmi frutto di lavoro e no di una vincita al "Win for Life".

Questa serie di "adesso" e "punto" che ormai è diventata la nostra vita segnata da contratti a termine, mille traslochi per inseguire un lavoro, centomila relazioni occasionali, ci hanno fatto credere di vivere in una serie di compartimenti stagni. Vediamo la nostra esistenza riflessa dentro uno specchio rotto.

I nostri genitori avevano un solo "adesso", la nascita o il raggiungimento della maggiore età, e un solo "punto", la morte o il rincoglionimento. In mezzo c'era un unico processo di crescita. Noi invece il processo lo interrompiamo ad ogni "punto". Sarà per questo che in giro ci sono (compreso chi scrive) tanti bamboccioni.


Ps: chiedo a chi ha avuto la pazienza di arrivare qui in fondo di lasciare un commento. Grazie.



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