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mercoledì 23 settembre 2009

Morti

Morire il giorno 17. Rimanere steso sull'asfalto, un telo sopra e intorno una corona di lacrime. La retorica ci ha consegnato moltissime frasi fatte per infarcire il racconto di una morte sul lavoro: "non deve accadere mai più", "non è possibile che un uomo esca di casa la mattina per andare a lavorare, e la sera non torni". Non sono servite a nulla.

Mogli inconsolabili. Figli orfani. Amici smarriti. Ogni lutto lascia dietro di se una scia di dolore ancora più grande del lutto stesso. Tratti comuni di episodi uguali. E un altro aspetto che si ritrova spesso in questi episodi: l'accento del sud. Quel sud ricco di sole, umanità, spirito di accoglienza, ma povero di lavoro e di opportunità

Allora via. Si parte. Tanti sogni nella valigia e la nostalgia di casa sempre in tasca. E si arriva in una terra lontana, a volte ostile, sicuramente sconosciuta. Si lavora, si chiama casa, si ride e si scherza per esorcizzare la comune malinconia, si parla il più possibile per allontanare la nostalgia.

Poi capita che un giorno, magari di 17, si cada al suolo. Un botto eppoi il silenzio. Quel silenzio dopo un rumore fortissimo che fa più frastuono del botto stesso. Stesi. Orizzontali. E non ci si rialza più. Ci si era alzati la mattina per fare il proprio lavoro e la sera non si ritorna a casa (anche se in realtà la casa è a migliaia di chilometri di distanza).

Questa è una storia inventata. Inventata per non far torto a Simone, Fabrizio, Celestino . Per non far torto a Fausto e Giancarlo, morti proprio ieri. Raccontare una storia in particolare avrebbe tolto spazio ad un'altra. E non sarebbe stato giusto.

Si, questo post è scritto pensando ai sei parà della Folgore uccisi in un attentato a Kabul.
Possono essere considerati morti sul lavoro? Non lo so, ma me lo sono chiesto.

E come nello spirito del blog, non mi sono (e non ho voluto dare) risposte.
So, però, che nè Simone nè Fabrizio avranno funerali di Stato, medaglie sul petto e onori. E nemmeno Fausto e Giancarlo li avranno. Eppure, anche loro erano persone oneste che lavoravano per loro stessi e per il loro Paese, magari per costruire case dove uno di noi sarebbe andato ad abitare o per trasportare il cibo che troviamo sulle nostre tavole.
Ognuno serve il proprio Paese come meglio crede. Mi ha molto impressionato, però, la lunga lista di "morti sul lavoro" che ho trovato su 2 blog e che non trovano spazio sui giornali nè telegiornali.

In conclusione linko due punti di vista contrapposti. Uno l'ho trovato su un blog, l'altro è "L'Amaca", la rubrica quotidiana di Michele Serra su "Repubblica".


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