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mercoledì 25 marzo 2009

A.ddii N.azionali


E tanto ci va, al traino del Cavaliere, e con tale spedito automatismo affronta il suo destino, e così poca resistenza pare opporre al Pdl, da chiedersi se An non sia già ampiamente e profondamente berlusconizzata. E proprio là dove è più inaccessibile, deve essere scattato il dispositivo dell'assimilazione, là dove non si raccolgono deleghe né si votano mozioni congressuali: nelle premesse simboliche e cognitive che determinano le parole e i comportamenti, nelle forme in cui si scioglie l'antica identità e si manifesta l'immaginario del tempo nuovo (Filippo Ceccarelli, La Repubblica, mercoledì 18 marzo)


Gianfranco Fini ha cambiato pelle al partito: l'ha strizzato, allargato, disegnato a misura dell'Italia che si affaccia al terzo millennio. L'intuizione di Domenico Fisichella, altero e dottrinale; la gestione politica di Pinuccio Tatarella, genio politico e sregolatezza pragmatica. Ma la faccia per convincere milioni di italiani e portarli alle urne a segnare una croce sul nuovo simbolo ce l'ha messa lui, il delfino di Almirante. (Carlo Fusi, Il Messaggero, giovedì 19 marzo)


Con An si si scioglie un equivoco durato quindici anni. L'equivoco di un partito nato per mutazione liberaldemocristiana nel 1995 e accompagnato adesso a fine vita nel Pdl in uno sfoggio di orgoglio identitario. Con un tocco di semplificazione paradossale si può dire che, se al congresso di Fiuggi i finiani avevano portato dentro un nuovo contenitore l'apparato missino deprivandolo del contenuto ideale ereditato dai Romualdi, degli erra o dagli Almirante, ora che An si disperde invece nel mare grande del berlusconismo finisce per aggrapparsi con tenacia all'albero maestro del proprio archetipo missino. (Alessandro Giuli, Il Foglio, venerdì 20 marzo)


Benchè l'uno non possa fare a meno dell'altro, i due sodali antagonisti della politica italiana non si sono mai amati. E anzi in Fini c'è un sottile disprezzo perchè, per lui, Berlusconi non ha ideali e non ha tensioni, ma è tutto piegato sul proprio narcisismo e sui propri interessi. E Berlusconi prova per Fini una forma di pena, lo degrada a professionista della politica. (Francesco Merlo, la Repubblica, venerdì 20 marzo)


Se un partito è un corpo politico, possiamo possiamo dire che nel 1995 a Fiuggi, dal Msi ad An è stato il momento della pancia e del cuore, il congresso del 2009, da An al Pdl, è il congresso della testa e del cervello. Passione contro ragione. Salto nel fuoco contro elaborazione. L'immaginario della destra è già a posto, ha modernizzato quando doveva, ha affiancato quando poteva la Mitbestimmung alla carta del Carnaro, il mitomodernismo a lfuturismo, Goldrake a Berto Ricci, Tremonti a Bottai, il Tibet all'Irlanda, il realismo politico a Junger, le comunità giovanili alle comunità militanti. (Angelo Mellone, il Giornale, venerdì 20 marzo)


Anche se chi lo conosce bene, giura che “grande è stata la scossa psicologica” di avere avuto una figlia, Carolina, dalla nuova compagna Elisabetta Tulliani. E lui lo ha anche confidato: “E' come una seconda vita”. (Fabio Martini, La Stampa, 20 marzo)


Un addio quello di Fini, ma anche un arrivederci, almeno nelle sue intenzioni. L'esortazione e anzi il comando alla sua sua gente è i restare unita, custode di una tradizione, di valori propri e d'una propria identità, d'una propria egemonia che non deve disperdersi -così spera Fini- nel magma indistinto di Forza Italia. Dovrà costituire anzi un punto di riferimento per più ampie aggregazioni dentro il nuovo partito e fuori di esso, per dare vita a una nuova destra capace di guidare il Paese anche quando il Capo carismatico deciderà di ritirarsi per sazietà, per stanchezza , comunque per l'inevitabile trascorrere del tempo che “va dintorno con le force”. [...] In una società di gomma il cemento del potere e del sottopotere è un collante formidabile; quel collante è nelle mani di un Capo proprietario del suo partito nel quale Fini entra da ospite dopo esser stato svestito da i suoi paramenti salvo quelli, abbastanza innocui, di natura istituzionale. (Eugenio Scalfari, La Repubblica, 22 marzo)


[Della prima giornata di congresso] resteranno nella memoria due immagini tutt'altro che tristi: i delegati che i fotografano con i cellulari, come alla finale della Coppa del Mondo, e l'orgogliosa rivendicazione di Roberto Menia del “nostro” modo di fare politica, fatta di volontarismo, disinteresse, passione vera. (Flavia Perina, Il Secolo d'Italia, 22 marzo)


Fini non ha paura di rimanere solo, isolato, senza più partito. Anzi, si vede che il congedo gli è lieve, il divorzio umano e politico, dai colonnelli, già consumato da tempo, persino parecchio desiderato. (Alessandra longo, la Repubblica, 23 marzo)


Ogni metamorfosi, ogni novità, ogni cambiamento, ogni svolta ha bisogno di essere visibile su d un piano che oggi non si può più designare come privato. [...] proprio dalla sua visibile presenza [di Elisabetta Tulliani] alla Fiera di Roma conferma la via del non-ritorno imboccata in prima persona da Gianfranco Fini. [...] Di solito le biografie non mentono e nel caso di Fini una nuova donna e una nuova famiglia certificano una nuova vita. Anche politica. (Filippo Ceccarelli, la Repubblica, 23 marzo)


Nell'eterna saga del suo dualismo con Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini ha provato, come ormai fa da anni, a mantenere il proprio ruolo di alleato leale ma diverso, mettendo paletti e definendo regole per il futuro partito unico. Ma, in realtà, che partita davvero può giocare un normale (sia pur talentuoso) politico di fronte a un leader quale quello raccontato da Weber? (Lucia Annunziata, La Stampa, 23 marzo)


Non c’è soltanto assenza di nostalgia per la fine di An: le parole di Gianfranco Fini ieri trasudavano l’impazienza di voltare pagina, di lasciarsi alle spalle una vita e di cominciarne un’altra. Il passo d’addio è una miscela di orgoglio e solitudine. Se pure Fini non ha detto esplicitamente ai suoi: “Da oggi ognuno per sé”, il suo lascito ad An è proprio in questi termini. (Massimo Franco, Corriere della Sera, 23 marzo)


[…] Fini ha disegnato tuta la strategia del Pdl nei confronti delle sfide alle quali andremo incontro nei prossimi anni nella prospettiva di un’Italia multietnica e multireligiosa, ancora più plurale e polifonica del presente. L’integrazione dei nuovi italiani, quale che sia l’etnia di provenienza. (Luciano Lanna, Il Secolo d’Italia, 23 marzo)

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