L'altro giorno mi è capitato di vedere un pezzo della trasmissione "Grande Fratello". Se ne può pensare quel che si vuole del programma (di chi vi partecipa e di chi lo guarda), ma osservare 20 (o 30) ragazzi e ragazze chiusi un una casa risulta essere lo specchio della società. Cioè di cosa siamo noi.
Seguo il programma quando capita, ovvero raramente. Per questo non so ricostruire perfettamente la vicenda da cui prende spunto questo post.
I fatti comunque sono semplici. Si tratta di un ragazzo, George, attratto da una ragazza, Carmela, e che, ricambiato, ha iniziato una relazione-storia-tresca o un qualcosa che si può definire come meglio si crede con lei.
L'altro giorno la mamma del ragazzo gli ha inviato un video-messaggio. La mamma ha ricordato al figlio che fuori dalla casa ha una compagna e addirittura un figlio. Che quello che sta facendo all'interno di quelle mura televisive avranno conseguenze all'esterno, nel mondo reale.
Il figlio ha risposto in maniera semplice e diretta: "Adesso il mio sentimento è questo. Quando sarò fuori da qui dovrò dare le mie spiegazioni, è sottinteso. Penso che adesso per star bene nel Grande Fratello e star bene con me stesso devo seguire il mio sentimento. Punto."
Casualità vuole che questa frase inizi e finisca con le due parole chiave del ragionamento: "adesso" e "punto". Un inizio e una fine definita, chiusa. Come se ciò che vogliamo adesso non abbia conseguenze sul futuro; come se ciò che vogliamo adesso non sia frutto di una costruzione, ma della contingenza, del capitato.
"Adesso" e "punto". E' come se la nostra vita stia diventando una serie di esperienze chiuse da un inizio e da una fine, senza una costruzione, una conseguenzialità, una causa e senza, soprattutto, un effetto.
E così quello che saremo domani non è il risultato dello studio, del lavoro, della costruzione di noi stessi avvenuta nel passato. Ma è solo il frutto di ciò che vogliamo (e a volte pretendiamo) e che generosamente ci viene offerto (molto spesso proprio dai nostri genitori che soddisfano molte delle nostre richieste). Allo stesso modo non ci sentiremo responsabili per quello che abbiamo fatto nel passato. Quello è un altro capitolo. Chiuso. Come se il libro della nostra vita non fosse un unico testo, ma il susseguirsi di tanti capitoli a sè stanti. Quello del capitolo precedente è un "io" diverso e i suoi errori, scelte, sconfitte non ci appartengono.
La generazione che ci ha generato (le nostre mamme appunto, la mamma di George...) è stata abituata a vedere la vita come un processo. E non mi riferisco alla vita sentimentale. Le nostre mamma hanno avuto un uomo e l'hanno sposato. Oggi noi frammentiamo le nostre relazioni sentimentali, ma anche i nostri contratti lavorativi, le nostre condizioni abitative, i nostri risparmi.
I nostri genitori (soprattutto nella sconfinata provincia italiana) hanno costruito la loro, e nostra, casa. E per costruire intendo in senso materiale: mattone su mattone. I nostri genitori hanno costruito i loro risparmi dai quali attingiamo per le nostre serate con gli amici. Risparmi frutto di lavoro e no di una vincita al "Win for Life".
Questa serie di "adesso" e "punto" che ormai è diventata la nostra vita segnata da contratti a termine, mille traslochi per inseguire un lavoro, centomila relazioni occasionali, ci hanno fatto credere di vivere in una serie di compartimenti stagni. Vediamo la nostra esistenza riflessa dentro uno specchio rotto.
I nostri genitori avevano un solo "adesso", la nascita o il raggiungimento della maggiore età, e un solo "punto", la morte o il rincoglionimento. In mezzo c'era un unico processo di crescita. Noi invece il processo lo interrompiamo ad ogni "punto". Sarà per questo che in giro ci sono (compreso chi scrive) tanti bamboccioni.
Ps: chiedo a chi ha avuto la pazienza di arrivare qui in fondo di lasciare un commento. Grazie.
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Non condivido in pieno...mi spiego:
RispondiEliminaCredo che ci sia modo e modo di vivere e affrontare la frammentazione di cui tu parli e credo anche che per questo tipo di "flessibilità" vada fatta una distinzione a seconda che si tratti di rapporti personali, professionali etc...(Per i rapporti personali il proprio percorso influisce anche sugli altri...per i rapporti professionali molto meno e questa già è una differenza significativa!!)
Comunque...C'è chi riesce a vivere benissimo e "non da bamboccione" saltellando da un'incertezza a un'altra e che anzi trova la cosa estremamente stimolante (personalmente non lo concepisco), ma è anche vero che l'eccessiva precarietà di oggi si contrappone a monolitiche certezze di una volta...(non sempre migliori o più edificanti).
L'evoluzione di cui tu parli non sempre è fluida e lineare e non sempre è giusto che sia così...ci sono anche percorsi di crescita fatti di saltelli, di stallo, accelerazione e retromarcia improvvisa...e ognuno di questi "momenti" può essere vissuto come una cosa a sé...l'importante è avere una visione complessiva di sé...
In definitiva, credo, che quello che più conta sia avere dei valori a cui fare riferimento a prescindere dal tipo di percorso che si intraprende...
Nel caso specifico, Grande Fratello, credo che il tipo non rispecchi una generazione o un modo di essere di noi giovani...il tipo deve essere solo un grande egoista...e i suoi "adesso" e "punto" rappresentano i pugni chiusi di un bambino che fa i capricci!!
che la vita delle generazioni precedenti sia stata sempre un processo unico mi sembra un po' semplicistico, ma per il resto mi sembra molto interessante.
RispondiEliminaMTL
Bauman definisce l’attuale società “dei consumi”. Questa genera nei singoli una “sindrome consumista”, cioè “un complesso di atteggiamenti e strategie, disposizioni cognitive, giudizi e pregiudizi di valore, assunzioni sia esplicite che tacite sul mondo”. Scrive il sociologo in “Vita liquida”: “L’elemento fondamentale che separa nel modo più netto possibile la sindrome consumista dalla sua precedente versione produttivista […] sembra essere il rovesciamento dei valori connessi rispettivamente alla durata e alla transitorietà. La sindrome consumista consiste soprattutto nel negare in maniera smaccata l’aspetto virtuoso della dilazione. […] Nella gerarchia tramandata di valori riconosciuti la sindrome consumista ha declassato la durata in favore della transitorietà. Ha posto il valore della novità sopra quello della durevolezza. Ha enormemente abbreviato il lasso di tempo che separa non soltanto il volere qualcosa dall’ottenerlo ma anche la nascita del volere della sua cessazione. […]
RispondiEliminaLa vita dei consumatori è una sequenza infinita di prove ed errori. La loro è un’esistenza di sperimentazione continua: ma nessun experimentum crucis può introdurli in una regione di certezze della quale esistano mappe e segnalazioni affidabili”.
La società è cambiata. E non da oggi. La società è comunicazione.
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"Io mi sento di nuovo un uomo, perchè provo una grande passione, e la molteplicità in cui lo studio e la cultura moderna ci impigliano, e lo scetticismo con cui necessariamente siamo portati a criticare tutte le impressioni soggettive e oggettive, sono fatti apposta per renderci tutti piccoli e deboli e lamentosi e irresoluti."
Karl Marx,
Lettera alla moglie del 21 giugno 1856
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